Wednesday, July 27, 2005

La porta proibita (racconto per bambini)

LA PORTA PROIBITA

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


L'ho scritto, di getto, a 13 anni. Poi l'ho scordato. Finché un giorno, riordinando, non è saltato fuori... ed ora eccolo qui, ansioso di sottoporsi al vostro giudizio e di lasciarmi, per vivere di vita propria!

Nella vecchia casa in cui vissi da bambina v’era una stanza, il cui accesso m’era proibito, che destava in me terrore ed insieme un’incontrastabile attrazione. Mio fratello, di alcuni anni più grande di me, si divertiva a raccontarmi quali orribili esseri, popolanti il mondo al di là di quella porta, sarebbero venuti a tormentarmi in eterno se avessi osato svegliarli dal loro sonno. Solo papà poteva entrarvi, e nessun altro: mamma mi aveva proibito di farlo, dicendomi che non ne sarei più potuta uscire.
I racconti di mio fratello suscitavano in me sentimenti intricati e contrastanti: desideravo incontrare gli spiriti folletti, i fantasmi e le strane creature che, al di là di quella porta, vivevano, ma avevo nei loro confronti anche un invincibile terrore: credevo che sarei rimasta in loro potere per sempre. Nei miei libri di fiabe questi personaggi erano soliti cibarsi di bambini, o tramutarli in bellissime ma inanimate statue di cristallo che adornavano i loro palazzi.
Il desiderio di vedere coi miei occhi ciò che la porta nascondeva si faceva però ogni giorno più prepotente: ed ebbi pi volte l’ardire di avvicinarmi ad essa e di fissarla a lungo, fantasticando. Solo una volta osai posare la mano sulla maniglia, ma quando, col cuore in gola, mi accinsi a girarla, un improvviso rumore di passi mi fece fuggir via con le ali ai piedi. Corsi a rinchiudermi nella mia stanza, e confidai solo alla mia adorata bambola Camilla il mio terrore.
Così passarono i giorni: il desiderio di aprire la porta proibita si faceva sempre più forte in me, ed ogni mio pensiero vi era costantemente rivolto. Ormai non v’era più nulla altro che mi interessasse, ed i categorici ordini di non disobbedire loro che mi rivolgevano i miei genitori quando, discorrendo, accennavano alla misteriosa porta, sortivano in me l’effetto di incuriosirmi ancor di più.
Finché una notte, svegliatami di soprassalto dopo un ennesimo sogno sull’oggetto della mia curiosità, decisi di por fine al mistero, e di dargli finalmente una spiegazione. Mi alzai e, camminando a piedi nudi sul pavimento gelido, arrivai finalmente davanti alla porta. Un brivido freddo percorse la mia schiena: aprii, e mi trovai di fronte ad una vecchia scala in legno.
Salii su, sempre più su, mentre i miei passi sui gradini scricchiolanti spaventavano me per prima, oltre ai topolini che abitavano quella vecchia soffitta, finché giunsi in uno stanzino al sottotetto.La luce dell’aurora, che proveniva dalle imposte mal chiuse di una finestra, illuminava soffusamente l’ambiente: vi era una vecchia sedia a dondolo, il cavalluccio di legno dalle gambe spezzate appartenuto a mio fratello quand’era bambino e che pareva guardarmi con aria di rimprovero; bambole rotte dall’aria sinistra, un vecchio carillon che un topolino aveva inavvertitamente rimesso in moto, urtandolo; vecchi libri polverosi e accatastati; un vestito antiquato che un tempo era stato di mia nonna, ed ora giaceva ricoperto da un panno bianco che lo rendeva simile ad un fantasma.
Per la verità, non v’era null'altro che potesse corrispondere alla descrizione delle cose spaventose fattami da mio fratello, e se, nell’oscurità’, ero quasi certa di sentire dietro di me le presenze di strani esseri, ora la luce sempre più forte metteva in fuga i miei timori. D’improvviso, però, vidi qualcosa muoversi e venirmi incontro: terrorizzata ma attratta, mi avvicinai anch’io pian piano.
Dunque era vero! Un qualche strano essere abitava la soffitta! Ed ora chissà che sarebbe stato di me, che avevo osato scoprirne il segreto!
D’improvviso, un raggio di sole diretto mise in luce quella figura: non era altro che una bambina pallida in viso, a piedi nudi, che tremava: tremava dinanzi alla sua stessa immagine, riflessa in un grande specchio a muro.

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