Monday, June 26, 2006

Il Cavaliere e lo Scudiero.


C’era una volta, tanto e tanto tempo fa, un ragazzino. Aveva una folta zazzera scompigliata e tagliata corta, il volto perennemente imbrattato di terriccio e un continuo moccio al naso.

Viveva rusticamente: sua dimora era il profondo della foresta, dove si arrampicava sugli alberi restandovi a lungo di vedetta, scrutando il cielo, il volo degli uccelli, l’incessante mutare delle nubi.

Si cibava di ciò che la Natura spontaneamente gli offriva: bacche e frutti boschivi, il nettare delle violette e l’ambrosia dell’acacia, e con le mani a coppa si dissetava dalle sorgive acque che scaturivano da una roccia ascosa.

Suo rifugio dalle intemperie era una buia grotta, e non calor di foco ne’panni( laceri e sporchi erano i miseri panni che indossava) ma solo l’interna fiamma e il calore di una mente ardente rendevano confortevoli il suo riposo.

Un giorno, nel profondo intrico del bosco, si addentrò un cavaliere: e visto il fanciullo, mosso a compassione dal miserevole stato di questi, lo issò sul suo destriero.

Il ragazzo acconsentì di buon grado a divenire il suo scudiero: strigliava il cavallo, gli procurava la biada, e mentre il suo signore dormiva gli lucidava l’argentea armatura fino ad assopirsi, esausto, in un cantuccio ai piedi del letto in cui riposava il suo signore.

Intanto scoppia la guerra col paese vicino: e il cavaliere, chiamato al mestiere delle armi, si prepara alla battaglia, scortato dal fedele scudiero.

Divampa la pugna: daghe, fendenti, volar di frecce. Lo scudiero, che anche sul campo insanguinato segue il suo signore, s’avvede di una freccia a lui diretta: e tosto s’interpone.

Il cavaliere, sgomento, fa per estrarre la freccia dal petto e solo allora s’avvede che è lordo di sangue non il petto di un uomo ma il seno virginale di una fanciulla!

“Tu m’hai accolto, e preso con te, quand’ero un essere selvatico. Hai destato in me l’amore: ecco, prendi la mia vita che t’offro al posto della tua, che m’e’ più cara ancora!”

Cosi’ dicendo mori’.

Il cavaliere, che mai a quel momento aveva provato amore, impietrì ancor di più il suo cuore, perché non s’era avveduto di quel che aveva accanto, e nemmeno perdendolo il dolore scalfì il suo cuore.

Ma l’anima del ragazzo, divenuta errabonda, permeò il luogo ove egli aveva vissuto: e ancor oggi chi si china a bere l’acqua della fonte del moccioso un femmineo spirito acquisisce, sotto le mentite spoglie di un fanciullo cencioso.

Il Cavaliere e lo Scudiero

Thursday, August 25, 2005

Noa, un magico diario!

NOA, UN MAGICO DIARIO!

(Romanzo per Bambini)

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)





Capitolo 1

Come arrivai sulla Terra


Ciao a tutti! Sono Noa… COSA  sono, direte voi. Al momento ho l’aspetto di un globo di luce, ma… posso assumere qualsiasi forma io voglia, come vedrete poi. Dopo aver viaggiato per anni nell’Iperspazio alla velocità della luce, mi sono avvicinata alla vostra galassia… rimanendo colpita dalla vostra Terra.

“È identica alla mia palla azzurra”, è la prima cosa che mi è venuta in mente quando l’ho vista. Mi sono avvicinata un po’, e ho notato uno strano paese a forma di stivale: “È proprio come uno dei miei stivaletti! Voglio proprio vederla da vicino!”, ho pensato, e in men che non si dica mi sono avvicinata al suo Centro.

C’era una bellissima città, sfavillante di mille luci… con un buffissimo monumento. “È proprio come il mio anellino traforato!”, ho pensato, “bene, allora mi stabilirò qui!”.

In un lampo, assunsi una forma umana: di ragazzina tredicenne o poco più, dai capelli color arancio, ricci e corti, occhi verdolini e un buffo neo sulla guancia sinistra a forma di cuore.

I miei abiti, direte voi? Cappello a punta di feltro color blu con una fascia nera, maglioncino collo alto mezze maniche color violetta, gonnellina ampia e corta gialla e immancabili stivaletti beige… al collo, un amuleto d’ametista su montatura d’argento con tante piccole pietre incastonate.

Creato il mio aspetto umano, occorreva crearmi una casa. Mi trovavo in un bel parco, su un colle: con la mia magia mi fu facile tirar su un’abitazione e convincere tutti gli abitanti dei dintorni che essa era sempre stata lì.

La mia casa ha la forma di un cono, anzi, di un cappello da strega; i mattoncini color arancio le danno un bel colore vivace e inoltre ha un comignolo e un ampio balcone col dondolo al primo piano.

Entrando c’è il salone col camino, con disposti ai suoi lati due divani a semicerchio e al centro una pelle d’orso bianco (sintetica, ovviamente!) e da un lato una tigre dall’aria bonaria (anch’essa finta, naturalmente). La cucina ha un grande tavolo rotondo ed è dotata di tutti i comfort…

Per passare al piano di sopra si sale su per una grande scala a chiocciola con al centro una pertica (per le discese rapide!). La mia camera ospita un enorme letto a baldacchino a forma di cuore (mi piace dormire per obliquo, con la testa ora da un lato ora dall’altro!) e tre finestre anch’esse a cuore.

C’è una bella sedia a dondolo smaltata di bianco, due comodini rotondi, un capiente armadio e una scrivania composta di due pezzi, nera e fucsia: è un rombo, se composta, mentre, divisa, forma due semiscrivanie con un angolo retto e un lato ondulato.

Ho una libreria stracolma di classici per l’infanzia e di fumetti per ragazze made in Japan (la mia grande passione!). Dove vivo abitualmente, nell’Iperspazio, arrivano le onde radio e quelle televisive: mi faccio certe scorpacciate di cartoni giapponesi anni ’80! Le storie di maghette sono le mie preferite: sono così simili a me…

E poi, sono così vicina all’Iperuranio, dove abitano le idee delle menti degli scrittori, che ho fatto amicizia con tutti i personaggi creati dagli autori per ragazzi: Jo e le Piccole Donne, Incompreso, PollyAnna col suo segreto, Sara Piccola Principessa e tutti gli altri personaggi che popolano la vostra immaginazione… Be’, io li ho conosciuti per davvero, e sono tutti amici miei!

Dove eravamo rimasti? Ah, il bagno: ha le mattonelle blu coi pesciolini rossi e un’enorme vasca rotonda con l’idromassaggio ad acqua sulfurea (adoro l’acqua sulfurea: mi fa sentire a casa!).

Questa è casa mia. Dimenticavo la soffitta: è su su, ha un abbaino e tutti gli oggetti più inutili e più magici che voi possiate immaginare… Volete farci un giro?

Capitolo  2

Vado a scuola!

Sapevo che una ragazza della mia età sarebbe dovuta andare a scuola. Avevo 13 anni terrestri, dunque… la classe che avrei dovuto frequentare era la terza media.

Vicino alla casa che avevo creato dal nulla c’era la Scuola Media più multietnica d’Italia… perciò, decisi di iscrivermi lì. Avrei avuto come compagni di classe cinesi, pakistani, mussulmani, indiani… un concentrato di mondo in una classe di 25 persone. Sarebbe stato bellissimo!

Non avrei avuto nessuna difficoltà, grazie alla magia, ad aggiungere il mio nome nei registri… E così avrei potuto dedicarmi alla parte più divertente: l’armamentario scolastico!

Come prima cosa creai un morbido e capiente zainetto rosso scarlatto, un astuccio rigido coi disegni di Beatrix Potter per le penne e le matite, quaderni ad anelli e blocchi con immagini della Natura e fogli da disegno (adoro disegnare!).

Per quanto concerne i libri… avrei aspettato di leggere il programma per poi materializzarli sulla mia scrivania!

Prima di cominciare la scuola, volevo esplorare un po’ i dintorni: rinunciai a fare il giro sulla classica scopa volante (non volevo dare troppo nell’occhio) e materializzai quindi una bici da donna nuova fiammante, con degli adesivi prismatici per decorazione.

Feci così a bordo della mia bici, quel pomeriggio, un giro d’ispezione nel mio nuovo quartiere, dando occhiate fugaci ai negozi cinesi, tutti con lo stesso arredamento al loro interno, ai giardini di Piazza Vittorio, alle grandi chiese di Santa Maria Maggiore e Santa Maria degli Angeli.

Mi piaceva gettare un colpo d’occhio alle vetrine colorate, e rubare qua e là qualche idea… Che avrei poi potuto mettere in pratica nella tranquillità di casa mia!

Arrivata a casa, mi adattai alle usanze locali (io mangio volentieri qualsiasi cibo del mondo) preparandomi un bel piatto di spaghetti al pomodoro e pollo arrosto con patatine fritte. Per dessert, niente di meglio di un budino al cioccolato (io adoro i budini!) e una bella mela rossa...

Lavati i denti, e  indossato il pigiama fucsia a cuoricini rossi, preparai la cartella… ero pronta per il mio primo giorno di scuola!

Dormii come un ghiro. Alle 7.00 in punto la sveglia-panda suonò e in men che non si dica mi ero lavata, preparata ed avevo fatto colazione, mettendo la merenda (una buona fetta di torta) in cartella.

La scuola era un po’ distante, ma decisi comunque di andare a piedi per assaporare il tragitto… e dopo mezz’ora arrivai, giusto poco prima di sentire il rintocco della campanella e di veder chiudere il portone.

“Su, su, ritardatari…” disse il custode. Io e una bambina dai corti capelli a caschetto, dai lineamenti asiatici, ci affrettammo su per le scale. Sapevo che la classe era la terza C… anche la bambina entrò con me. 

C’era un unico banco libero, il primo della fila centrale: ci sedemmo entrambe lì, io dal lato finestra, lei dal lato porta.

“Ciao, io sono Lyn! Facciamo amicizia?”, mi disse. Io le strinsi la mano e… in quel momento entrò la prof di Italiano: “Silenzio! Non tollero confusione! Si comincia. Aprite l’Antologia a pagina 30…”.

Decisi che avrei rinviato i convenevoli all’ora di ricreazione. Lyn, cinese, aveva tre fratelli e due sorelle, e viveva coi genitori sopra un piccolo negozio di abbigliamento che avevano in gestione.

Parlava bene l’italiano, senza particolari inflessioni, ed aveva una bella voce e una certa predisposizione per il canto. Le piaceva suonare il flauto, le lezioni di Geografia e la Matematica…

E fu così che conobbi la mia prima, nuova amica!




Capitolo  3

Un nuovo amico

Oggi ho fatto amicizia con Rashid. Ha 13 anni ed è marocchino. La sua famiglia vive da 10 anni in Italia ed ha una rosticceria dove preparano un kebab buonissimo e dei felafel fantastici (me li ha fatti assaggiare a ricreazione: il primo è una specie di panino con carne, pomodori, insalata e una salsina piccante, i secondi sono delle squisite polpette di ceci).

Rashid vuole studiare per diventare ingegnere dell’ambiente e del territorio. Ha una collezione di pietre di tutti i tipi (va pazzo per la Geologia) e ha anche uno splendido erbario. Conosce (quasi) tutti i nomi di piante!

Ha un fratellino più piccolo, Bilal, che ha 5 anni, e spesso si deve occupare di lui quando i genitori sono impegnati con la rosticceria.

Abbiamo fatto amicizia durante l’ora di Matematica: c’era un polinomio di difficile risoluzione, mordicchiavo nervosamente la penna e d’un tratto… Puff! Un bigliettino con la soluzione esatta mi è piombato sul banco.

Mi sono girata e… tre banchi dietro c’era un morettino tutto ricci che mi faceva l’occhiolino e che mi sorrideva.
“Grazie, mi hai salvato la vita!”, gli dissi all’ora di ricreazione.

 “Se non fosse stato per te, la prof mi avrebbe rifilato una bella insufficienza…”. “Oh, non è nulla”, disse lui facendo spallucce.

“È  che per me i polinomi sono semplicissimi, basta imparare a conoscerli e farseli amici… Se vuoi, dopo te li spiego, all’ora di buco!”. “Siii!”, accettai entusiasticamente. A scuola invece io brillo in Italiano (mi piace molto scrivere: con tutti i libri che leggo è il minimo, no?), Storia, Scienze ed Educazione Artistica.

Mi piace molto anche Educazione Fisica, e soprattutto pallavolo… Anche se la mia specialità è arrampicarmi sulla pertica!

Rashid se la cava piuttosto bene in Matematica ed Educazione Musicale. È forte in Inglese ed ha una passione per il Teatro… attività che svolgiamo una volta al mese, per una settimana, assieme ad altre attività extracurricolari come Giornalismo, Ceramica, Fotografia, Arti Marziali.

Inutile dire che Lyn è bravissima in quest’ultima attività! Lei pratica tutte le mattine alle 6, nei giardini di Piazza Vittorio, un’ora di Tai Chi con la spada. A me invece piacciono molto gli esercizi di Yoga… li trovo molto meditativi, e poi mi piace assumere posizioni strane come l’Aratro o la Candela!

Devo dire che nel complesso la scuola mi piace. Basta essere molto attenta a lezione, e prendere appunti… e poi, nel pomeriggio, studiare diviene enormemente più facile!

Io rileggo le cose da studiare per tre volte: la prima afferro il concetto in generale, la seconda sottolineo le frasi chiave, la terza rileggo facendo particolare attenzione a focalizzare i concetti sottolineati… che s’imprimono così in maniera indelebile nella mia mente.

Diciamo che la Matematica è la mia bestia nera… ma se c’è Rashid a spiegarmela, non la temo! Dal canto mio, io posso insegnare a Rashid i miei Esercizi di Fantasia: “Immagina… che faresti se tu fossi un fiore? Oppure un filo d’erba?”, e così lo spingo ad inventare delle storie che possono rivelarsi… davvero veritiere!

L’altro giorno ho approfittato della ricreazione, durante la quale Rashid stava schiacciando un pisolino, e l’ho trasformato in un… cardellino! Ha sbattuto le ali, incredulo, e poi si è messo a volare per tutta l’aula… finchè non gli ho aperto la finestra e lui non si è librato, finalmente libero, nel cielo.

Ha svolazzato sugli alberi del parco vicino, poi, spaventato dal traffico cittadino, è rientrato in aula, posandosi sulla mia spalla. E poi… Puff! È tornato ad essere sè stesso.

“Pazzesco!”, mi ha urlato, “Ho fatto un sogno incredibile!”. “E allora tu perché non provi a scriverlo?”.

Lo ha fatto e… con quel tema libero, “Cosa farei se potessi volare”, ha preso il più bel voto della classe!

Capitolo 4

Glauca, la mia amica pennuta!

Questa notte è stata da tregenda. Tuoni, fulmini, vento forte... La mattina dopo tutti i giardini del colle su cui abito erano ricoperti di rami caduti. Tagliando per i giardini per far prima a raggiungere la scuola, ho sentito uno strano verso provenire da un grosso ramo a terra: “Huuuh, huuuh....”.

Mi sono avvicinata, ho scostato delicatamente gli aghi di pino e... quale è stata la mia meraviglia nel trovare una giovane civetta, dolorante per un'ala spezzata!

“Povera piccola! - le ho detto comunicando telepaticamente col suo pensiero – Sei stata sbattuta fuori dal nido dal ventaccio di ieri notte, e cadendo ti sei fatta davvero male!”.

“Huh-huh, huh -huh!” Annuì la bestiolina.

“Ma, se tu me lo permetti, mi prenderò io cura di te, e ti darò un nome.... Glauca! Ti piace?”.

Con uno sbatter di ciglia, la civetta annuì.

Strinsi dunque delicatamente fra le mani Glauca, come si stringe una colomba che stia per spiccare il volo, e mi concentrai mentalmente sulla struttura delle sue ali, sulle sue ossa, sui suoi muscoli, sul suo tessuto connettivo, sulle sue piume, visualizzando dentro di me l'ala destra perfettamente integra.

E... Puff! Glauca era nuovamente pronta a spiccare il volo!

Svolazzò su di me, in cerchio, un paio di volte; si mangiò un coleottero al volo (buon segno! Le era tornato l'appetito!) e poi, dopo avermi fatto l'occhiolino, se ne volò via...

Ma ormai eravamo diventate amiche: quella sera, dall'olmo vicino casa mia, sentii provenire il suo inconfondibile “Huh – huh! Huh- huh!”.

La notturna civetta Glauca dagli occhi gialli come fanali, sacra alla dea Atena, era diventata mia fedele vicina di casa... Con lei accanto, anche la notte era meno buia!

Capitolo 5

Facciamo Educazione Fisica?

Oggi alla prima ora avevamo Educazione Fisica. Ottima occasione per sfoggiare la mia tuta grigia e rosa dalle alette romantiche e svolazzanti proprio all'attaccatura delle spalle...

Abbiamo cominciato con dei giri di corsa, nella nostra grande aula di ginnastica dai soffitti immensi, e poi ci siamo cimentati con l'arrampicata: corda e pertica.

Inutile dire che, tanto sono imbranata con l'una, tanto sono agile con l'altra: sulla pertica salgo come una vera scimmia... o un provetto marinaio!

La corda, invece, mi riesce sfuggente, inaffidabile: ondeggio qua e là senza andare né su né giù...

Tra me e Isotta, non si sa chi sia la peggio!

Isotta è una ragazzina paffuta, capace di passare dall'introversione all'essere ridanciana in un batter d'occhio. Non la vedi mai in gonna: porta sempre jeans, polo celeste e gilet blu, oppure una tuta da ginnastica blu con le bande laterali rosse...

È mora e riccia riccia, e quando sorride è davvero contagiosa! Fa temi molto profondi, con idee più mature dei suoi tredici anni, ed ha un debole per la Storia ed Educazione Civica, materia che invece tutti gli altri snobbano.
Ci tiene a dire: “Tutti noi siamo uguali!”,  come se lei si sentisse diversa per qualche motivo...

Insomma, ci trovavamo tutte e due impelagate al fondo della corda, quando Lyn, quello scricciolino,  ci suggerì un trucchetto per salire agevolmente: “Dovete stringere bene i piedi imprigionandovi in mezzo la corda e poi fare presa saldamente con le mani, tirandovi su, sempre più su!”.

Isotta e io ci siamo guardate negli occhi facendoci l'occhiolino, abbiamo preso un bel respiro e... Be’, eravamo senza fiato, alla fine, ma toccare l'altissimo soffitto è stata davvero una soddisfazione impagabile!


Capitolo 6

Lucciole per lanterne

Vi è mai capitato di avere una compagna di classe bellissima, che riesce bene in tutto, e che per di più ha uno stuolo di ammiratori adoranti?

Be’, è quello che è successo a me con Barbara, la “divina” Barbara, la regina della classe. Brillante nei temi, brava in Matematica e Scienze, campionessa regionale di nuoto... e con un modo di fare capace di stregare chiunque.

Anch'io, all'inizio, provavo una sincera ammirazione per lei: quei lunghi capelli biondi, quel sorriso smagliante, quel fascino innegabile...

Le scrivevo lettere e bigliettini colmi di amicizia. E, dal canto suo, credevo che Barbara ricambiasse con lealtà i miei sentimenti: anche lei mi scriveva bigliettini accattivanti e mi faceva regalini, piccoli oggetti di cancelleria decorati con disegni di Sarah Key o dei Little Twin Stars, che io conservavo come tesori.

Ma... che doccia fredda fu per me scoprire all'improvviso come stessero davvero le cose!

Era ricreazione, e stavo ancora chiusa nella toilette, quando ho udito distintamente la voce di Barbara dire a Cinzia, una nostra compagna: “Che sciocca, quella Noa! Crede sinceramente che io mi sia affezionata a lei! Non sa che matte risate mi faccio leggendo le sue lettere sdolcinate...
È come avere un cagnolino scodinzolante, quasi come il mio fedele Mario... che ne sarebbe di me se lui non mi sbrigasse tutti i compiti?”

Avevo ascoltato quelle parole rivelatorie tutta tremante. In quel momento non ci vidi più dalla rabbia: uscii fuori dal bagno sbattendo la porta e, puntandole il dito contro, sbraitai: “Tu!!! Tu, infida serpe!! Puoi ingannare tutti coi tuoi modi da santarellina, farti beffe di chi ti offre un'amicizia sincera, usare gli altri come tuoi schiavi, ma sarai sempre e soltanto una persona sola, perchè non si può mentire anche a sé stessi!”.

Barbara sbiancò in viso e rimase esterrefatta, incapace di proferir parola.

L'avevo davvero punta sul vivo...




Capitolo 7

Uno spettacolo mozzafiato

Vi avevo detto che una volta al mese la nostra scuola dedica una settimana alle Libere Attività? Io mi sono innamorata del teatro della nostra scuola al primo sguardo: capiente, dal sipario in velluto un po' frusto, con i riflettori colorati... inutile dire che salirci, acquattarmi dietro le quinte e desiderare di andare alla ribalta è stato tutt'uno!

Mi sono così iscritta a Teatro: la professoressa che ci insegna Recitazione, Erminia, è un'insegnante di sostegno prossima alla pensione ma che ha tanto entusiasmo e passione da coinvolgere chiunque! Anche Rashid si è iscritto al corso, ed estroverso com'è non c'è da dubitare che riscuoterà applausi.

Il testo che porteremo in scena a fine anno è tratto da un bellissimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo: inutile dire che mi sono gettata a capofitto nella lettura, e che ho reperito subito il film che ne è stato tratto.

Il ruolo che mi è stato assegnato è quello della figlia del Principe di Salina, Concetta, e la mia scena clou è una scenata di gelosia nei confronti  dell'affascinante Tancredi, mio cugino, che invece spasima per la bella Angelica: arrivo a gettare a terra con disprezzo il mio bouquet di fiori!

“Ah Tancredi, Tancredi... abbandonarmi per quella Angelica! Ma non ti darò la soddisfazione di vedermi in lacrime!” , grido, come da copione.

Ma una soddisfazione per me c'è... perché nella scena del ballo (ebbene sì! Un vero valzer con tanto di costumi ottocenteschi con cerchi e crinoline) il mio pretendente, il Conte Cavriaghi, ottiene l'onore di danzare con me... 

Provate a indovinare quale moretto ricciolino lo interpreta!

Capitolo 8

Una visita allo zoo

Questa settimana i professori sono stati clementi, e, contrariamente al solito, non mi ritrovo la domenica pomeriggio carica di compiti per il giorno dopo...  Quale occasione migliore per inforcare la mia bici e fare un giro nel verde?

La mia meta è una grande villa a forma di cuore nel centro della città, con un bel museo, un laghetto, un teatro estivo e... uno zoo! Mi piace vedere gli animali (anche se li preferisco nel loro habitat naturale), starli ad osservare nei loro comportamenti e comunicare telepaticamente con loro.

Mentre passeggio all'ombra degli alberi, colgo brandelli di conversazione fra i custodi: “Non ci voleva! Era l'unico esemplare femmina!” “E ora il maschio di ornitorinco potrebbe lasciarsi morire dal dolore...”.

Capisco che è successo qualcosa di brutto, e mi avvicino alla vasca degli ornitorinchi, quei buffi mammiferi dal muso di papera che depongono le uova, unici nella loro famiglia e nel loro genere: vedo un esemplare che nuota in circolo nella vasca, e non risponde ai miei contatti telepatici...

In un lampo, decido di trasformarmi: mi concentro sulla struttura corporea dell'ornitorinco, sul suo becco, sul suo rostro velenoso (solo nei maschi però) e... Puff! Mi ritrovo d'un tratto nella vasca a nuotare anch'io.

“Come stai? Posso esserti d'aiuto?” gli chiedo. “E come potresti?” Mi risponde rancoroso. “La mia compagna non c'è più, sono lontano da casa mia, e non potrò più avere una discendenza... Tu come ti sentiresti al posto mio?”, sbraita.

Mi sento impotente. Non riesco a consolare il suo dolore... Mi aggiro nuotando torno torno al recinto, annaspando in cerca di una soluzione ai guai del mio amico monotremata. Improvvisamente, nascosto da un ramo caduto... scorgo un nido! Tre grosse uova ben coperte dalle foglie!

Grido all'ornitorinco tutta la mia felicità: “Non sarai più solo! La tua compagna è diventata mamma prima di lasciarti... il personale dello zoo custodirà le tue uova fino alla schiusa e allatterà i tuoi cuccioli!”.

L'ornitorinco mi guarda, incredulo. Nei suoi occhi scorgo una lacrima di felicità.

Ritorno alle mie sembianze di sempre, e avverto della mia scoperta la biologa di turno: sì, mi dice, sono già riusciti a far nascere degli animali in cattività...

Sono commossa. Ritornerò presto a vedere la cucciolata di cui mi sento un po'... la madrina!

Capitolo 9

La musica, che passione!

Io sono onnivora: mi piace qualsiasi genere musicale, da quella leggera, alla musica pop, dance, world music, fino alla classica. È grazie alla nostra insegnante di Educazione Musicale, secondo la quale non si può studiare Storia della Musica prescindendo dall'ascolto, che in classe ci siamo accostati alle opere di Mozart, Beethoven, Puccini, Tchaikovsky... adoro il Lago dei Cigni, lo riascolterei mille volte!

Quando procediamo all'ascolto guidato, Bruna, la nostra insegnante, è completamente assorta: dal primo banco posso notare gli occhi socchiusi, le narici frementi... I maschiacci delle ultime file si fanno gioco di lei, ma io ammiro la sua passione sconfinata.

Ma non facciamo solo ascolto, ci cimentiamo anche in uno strumento: il flauto. Lyn è particolarmente portata, e sa produrre suoni meravigliosi, mentre io, per quanto mi eserciti, sembra che suoni un fischietto sfiatato... meno male che i suoni che produco non arrivano ai vicini, grazie all'isolamento perfetto che ho creato!

Capitolo 10

La professoressa Olivia

Non capisco perché, ma non riesco proprio ad andare d’accordo con la professoressa di Italiano.  Per quanto mi piaccia la sua materia, per quanto impegno metta nello studio, ha sempre una parola scortese: “Noa non mettere troppa enfasi!” , “Noa non abusare dei punti esclamativi!”, addirittura “Noa! I tuoi temi sono solo retorica!”.

A quest’ultima affermazione io mi sono sentita tagliare le ali. Io metto tutta me stessa in quel che scrivo, e mi piace usare le espressioni complicate e le parole difficili che trovo nei libri che leggo, ma da questo a dire che non c’è un briciolo di verità in quel che scrivo… Mi pare francamente troppo.

Me ne stavo sconsolata nei bagni a rimuginare, coi polsi sotto il getto dell’acqua ghiacciata per calmarmi un po’, quando mi si è avvicinata Lyn che con voce dolce mi ha sussurrato: “Non prendertela… quando la professoressa Olivia ti rimprovera a me sembra che ce l’abbia anzitutto con sé stessa.  Come se in te vedesse qualcosa che a lei non è stato dato esprimere, ed essere appieno, e a sua volta lo perseguitasse in te…”.

“Davvero?”, dissi sgranando gli occhi”. “Si. Mia nonna mi raccontava che il suo grande talento per la musica non era incoraggiato ma ostacolato, perché metteva in ombra la sua stessa insegnante… Per cui sorridi, perché vali più di lei!”.

Abbracciai Lyn stretta stretta… mi aveva ridato fiducia in me stessa e nelle mie capacità!|


Capitolo 11

Un'insegnante davvero speciale

Voglio davvero bene alla nostra insegnante di Matematica e Scienze, Marina.  molto dolce e sensibile, e sa spiegare ogni cosa, anche la più difficile, con estrema chiarezza. Non a caso ho scritto sulla seconda di copertina del mio quaderno a quadretti “Matematica, mi sei simpatica!”.

Quando Marina spiega un argomento di Scienze, poi ci dà da fare a casa un compito speciale: “Ripensa e rifletti”. Praticamente, è come se dovessimo fare una sintesi, con tanto di illustrazioni, dell'argomento trattato, per preparare una lezione a nostra volta: e dopo aver sintetizzato i concetti salienti, poi è molto più facile rispondere alle interrogazioni...

La cosa buffa è che con Marina, a ricreazione, facciamo scambio di figurine: dal momento che ha due figlie all'incirca della mia età, è facile che loro facciano le mie stesse collezioni... e così in classe riecheggia “Mima, mima... celo, celo!” , come sono solita  abbreviare io l’eterno ritornello  “Mi manca, ce l’ho”!

Capitolo 12

La forma delle idee

Isotta è timorosa di tutto. Alle interrogazioni, anche se ha studiato, non riesce a esprimersi, balbetta; si impegna tanto ma il suo rendimento non è quello che ci si aspetterebbe da lei. Le sue penne, tutte, finiscono col perdere inchiostro, e sui suoi quaderni si allargano macchie come grosse lacrime... Lei, che è così sensibile, ci soffre.

Oggi, approfittando di due ore di buco, fra un acquerello e l'altro (ci hanno “parcheggiati” in aula di Educazione Artistica), le ho parlato un po': “Forse non lo sai, cara Isotta, ma le nostre idee, tutte, hanno una forma! E se i nostri pensieri sono dritti e determinati, raggiungono lo scopo, come frecce scoccate dall'arco, mentre se sono confusi si attorcigliano su sé stessi e ci impediscono di raggiungere gli altri: finiamo con l'essere chiusi in una gabbia che noi stessi abbiamo costruito!”.

“Ma tu non sai quante volte io mi ci senta davvero, come in una gabbia! I miei genitori si aspettano moltissimo da me e io li deludo sempre... Sono tutta sbagliata!” mi ha risposto Isotta, con voce rotta dalla commozione.

Allora ho fatto una magia: le ho chiuso gli occhi e, ponendole una mano sulla fronte, le ho fatto visualizzare come sarebbe stata di là a qualche anno, alta e slanciata, giovane docente di Antropologia, con i colleghi a complimentarsi per le sue ricerche sul campo e gli studenti entusiasti per la chiarezza dei suoi testi.

“Questa sei tu”, le ho sussurrato, mentre ancora era in trance, “questo è l'obiettivo che puoi raggiungere, se dirigi la tua volontà... Non è vero che sei sbagliata, sei tu la padrona del tuo destino!”.

A un battere di mani, Isotta è tornata presente, ha completato il suo acquerello (senza stingere i colori) e lo ha consegnato al professore, con un luccichio diverso negli occhi.

Il giorno dopo, alle interrogazioni, la sua voce era ferma e sicura: le sue idee davvero avevano assunto la forma di tante frecce appuntite, pronte a raggiungere l'obiettivo!


Capitolo 13

La resa dei conti

Oggi Erminia, prima del mio arrivo, ha comunicato ai miei compagni di classe che è accaduto un episodio davvero grave. Qualcuno si è introdotto in sala professori, ha forzato l’armadietto dei registri e ha sottratto dei temi e delle tavole di disegno, poi ha aperto la finestra (la nostra scuola è al quarto piano di un antico palazzo ottocentesco) e li ha gettati via, facendo sì che si sparpagliassero nella strada. E secondo voi, di chi erano quei temi e quei disegni? Lyn me l’ha confessato, un po’ esitante: i miei.

Chi poteva aver fatto un gesto tanto gretto e tanto meschino? Un indiziato c’era – e voi sapete bene chi – ma non avevo nessuna prova per accusare lei, Barbara, la mia Nemesi.

Io avevo faticato sulle mie tavole, avevo messo tutta me stessa nei miei temi, ed ora erano chissà dove, ridotti in coriandoli…

Decisi di affrontare Barbara a viso aperto.

Aspettai che finissero le lezioni, e che rimanessimo solo noi due, per parlarle: “Barbara –  le dissi – non posso giurare che sia stata tu, o che ti sia servita dei tuoi schiavetti per farlo, ma se l’idea di quel che è successo è partita da te, cosa credi di aver dimostrato? Di essere la migliore distruggendo i termini di confronto con gli altri?
Tu vuoi essere la prima in tutto, ma un leader è il primo a tendere la mano agli altri, non ad annichilirli!”.

Barbara raggelò in viso. Mi rispose, gelida: “Che vuoi saperne, tu, degli altri? Tu che hai un eterno sorriso stampato sulla faccia, che ne sai tu della rabbia e del dolore? Non ne so nulla dei tuoi temi, ma se vuoi saperlo, non mi dispiace affatto quel che ti è successo!”, e sbattendo i libri sul banco, se ne andò.

Mi sentii svuotata. Non odiavo Barbara. Sentivo che, dietro le apparenze smaglianti, era una persona estremamente sola, amareggiata e ferita.

Capitolo 14

Finisce la scuola...

E così, senza che neanche me ne rendessi conto, sono arrivata al mese di Giugno... il mese in cui si sgobba, si preparano le tesine finali, le tavole di disegno (compito che ho affrontato con grande passione) e in cui si sta sui libri fino a tardi... A studiare, si, ma anche a divorare i Racconti del Terrore di Edgar Allan Poe, autore che ho scoperto proprio ora e da cui non riesco a staccarmi!

Con fatica da amanuense ho vergato, illustrato e rilegato le tesine su ogni materia... La mattina dell'esame alle sei sono già un grillo, faccio una sostanziosa colazione e mi dirigo a passo svelto verso scuola... 
Sono a posto con la mia coscienza, consapevole d'aver studiato tutto l'anno e che solo l'emozione può giocarmi un brutto tiro. 
Prendo un lungo respiro... l'esaminatore mi fa la prima domanda: argomento a piacere. Vai con la genetica, gli esperimenti di Mendel (quanto mi sono divertita ad illustrare gli incroci fra i fiori dei piselli!), poi Geografia, l'Isola di Taiwan, Storia, i moti garibaldini... Uno, due, dieci minuti, perdo il senso del tempo, l'interrogazione è finita. Il responso? “Ottimo”...

Il mio anno sulla terra si conclude, il mio apprendistato come essere umano può finire. Saluto Rashid, Lyn, Isotta, persino Barbara con più calore del solito... Tanto, grazie alla mia magia, domani non si ricorderanno più di me.

Torno alla mia casa a forma di cappello da strega, riguardo l'orso, la scrivania, le finestre a cuore, la pertica, e a mano a mano che il mio sguardo si posa su di essi, gli oggetti si dissolvono.

Guardo la mia stessa mano, che a poco a poco diviene trasparente, fino a che io stessa scompaio, divenendo un fascio di energia.

“Ciao Terra! Come sono stata bene, su di te! Ciao amici! Iperuranio, sto ritornando...”

Ed in uno scintillio di luce sparisco tra le stelle.


FINE


Wednesday, July 27, 2005

La collezione di bambole

LA COLLEZIONE DI BAMBOLE

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

Al mio analista

Mia nonna, nonna Nina, aveva una collezione di bambole. Le teneva tutte in una vetrinetta: una per ogni paese visitato, dono di parenti ed amici.
Mi chiedevo a cosa servisse una bambola, se non ci si puo’ giocare.
Nonna Iolanda, detta Pierina perche’ nata il giorno di S. Pietro, aveva Miss Rossella. Proprio lei, Scarlett O’ Hara, con l’abito della festa delle 12 Querce, tutto bianco coi volants di pizzo e la cinta di velluto verde con gli strass a formare una fibbia quadrata.
L’ho fatta volare dalla finestra.
Quando ho capito che simboleggiava la donna bambina, quella che tratta gli uomini come i propri giochi e fa ammattire il povero Clark Gable - Rhett Butler, colpevole solo d’amarla (troppo?).
La mia mamma aveva me, la sua bambina- bambolina. Da ninnare, vestire e con cui giocare a far la mamma, dandole tutto cio’ che lei (tempo, attenzione, coccole, liberta’ di giocare) aveva solo sognato.
Sono stata la sua bambola per anni.
Vestendomi a suo gusto, anche quando ero da sola. Sentendomi una marionetta manovrata da altri.
Che un bel giorno, come Pinocchio, taglia i fili. Di se’ stessa e altrui.

Actarus VII

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio: avrei voluto che tu mi fossi padre

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.
O meglio, mio padre.

Actarus VI

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio: avrei voluto che tu mi fossi padre

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus V

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio, padre di quattro fantastici bambini

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus IV

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!

Actarus III

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus II

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli la vita.

Actarus

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.

La bambinaia africana

LA BAMBINAIA AFRICANA

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Chiara

Il mio bambino e’ proprio bello. Dorme cullato dal respiro della sua nanny africana.
L’ho conosciuta per strada: vendeva dischi contraffatti e cullava con dolcezza la sua bimba, Anna. Che si chiama come me. Le ho chiesto di farmela tenere in braccio e me l’ha data, con fiducia.
E’ una bimba proprio bella, di pochi mesi. E cosi’, quando ho avuto il mio, m’e’ venuto naturale affidarlo alla mamma di Anna. Perche’ crescesse forte e indipendente, fiero e dignitoso come un bambino africano.
Africa.
Negata, sfruttata. Piena di orgoglio.
Come il mio amico Filomeno Lopes.
Un vero principe africano.
L’ho conosciuto in una mensa, la stessa di Rai Sat, dove lavoravo io, e di Radio Vaticana, dove era impiegato lui.
Un filosofo e un poeta. Un musicista, che alle sue canzoni ha affidato il suo messaggio al mondo.
Affinche’ la sua musica penetri il cuore di tutti.
Child eyes. Occhi di bambino. Lo sguardo con cui Filomeno, colui che e’ amato, guarda il mondo.
Filomeno. Il nome che gli e’ stato dato dall’ospite che aveva in casa suo padre il giorno della sua nascita.
Filomeno, dal maestro di spada orientale.
Filomeno che si sveglia ogni mattina brandendo la katana: esercizi di autocontrollo e di amore, come fiera che lotta libera nella savana.
Filomeno.
Il nome del mio bambino, cullato dalla sua nanny africana.

Mai avuto carie, in vita mia!

MAI AVUTO CARIE, IN VITA MIA!

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


Quanto lo invidiavo! Lui li’, bello, con la sua bici da cross, ed io in croce sul lettino del dentista.
Avevo sempre avuto delle brutte storie di denti.
Non che quelli da latte non fossero perfetti, anzi!
I problemi mi erano venuti con quelli definitivi, con l’agenesia di un dentino (= fratellino mai nato) a destra e a sinistra un dente-fiammiferino, arcata superiore troppo larga o troppo stretta, innumerevoli carie nonostante mi lavassi le canoniche 3 volte al giorno i denti.
Uno strazio continuo.
Ero persino diventata un caso clinico studiato dai professoroni della Clinica Odontoiatrica dell’Eastman di Roma, clinica connessa all’Universita’ La Sapienza perche’ sita in viale Regina Margherita…
Ma io lo amavo, il mio luogo di calvario.
Li’ potevo dimostrare di essere un bravo soldatino coraggioso, potevo meritare la bambolina bruna, color ebano, dal vestitino verde a strisce, con le maniche all’americana, che era stato il mio primo premio al coraggio. “Te la comprero’ se ti comporterai bene dal dentista”, aveva detto mamma. Ed io avevo obbedito, come sempre.
Amavo mia madre, nonostante (o forse per) le mille torture cui mi sottoponeva. Studiare l’inglese: mi pagava 50 lire, il prezzo di un agognato pacchetto di figurine, per ogni pagina del vetusto manuale anni ’50 imparata.
Amavo e odiavo Buck, Il richiamo della foresta, perche’ per punizione m’aveva costretto a ricopiarne l’incipit, tutto il primo capitolo, su un quaderno.
E mi pagava, perfino, per poter schiacciare sul mio corpo i punti neri.
Mercimonio.
Ma per amore. La forma piu’ pura di mercimonio. Davo tutta me stessa, per compiacerla.
Ho continuato a farlo per tutta la vita.
Finche’ oggi, per me, un dentista e’ solo un dentista.
E non una prova d’amor perduta.

25 anni dopo

25 ANNI DOPO

Maria Teresa Magliozzi (in arte Virgoletta)



Era stato il mio primo amore.

Matteo – Marini - che – gli - puzzano – i - calzini.

Avevamo entrambi 7 anni: lui era biondo rossiccio, con gli occhi verdi e le lentiggini, un sorriso aperto e tanta vitalita’ e gioia di vivere. Io, un bambina coi riccioli alla Shirley Temple, sognatrice e romantica ante litteram, argento vivo addosso e cuoricino d’oro.
C’eravamo conosciuti in prima elementare. Lui era un tipino intraprendente, a capo della “banda dei ragazzi”, che non ammetteva femmine al suo interno. Io non m’ero arresa, e gli avevo detto: “E se vi fate male con l’ortica, chi vi cura, se non le crocerossine?” , e cosi’ ci aveva ammesso, Valentina Valentubo, Letizia ed io, a far parte del suo entourage.
Che allegria, le spedizioni nell’erba alta e i percorsi di guerra! ”Percorsi”, che sarebbe poi rimasto il mio gioco preferito: inventarsi un itinerario impossibile, con corse, salti e strusciate per terra, con dietro qualcuno al seguito.
Gli piaceva Candy © Candy. Ma solo quando faceva le facce buffe, pero’. Fu lui a cedermi una preziosa figurina che gli aveva dato Annalisa, la Regina delle Ragazze, scatenando la sua ira gelosa di me.

Mi trovavo bene con lui.

E un giorno glielo dissi. Senza ritegno.
Fu durante una lezione di ginnastica. Eravamo senza le scarpe, coi soli calzini. Mi alzai in piedi di scatto e gli gridai: “Matteo, io ti amo!”, e poi fuggii via, fra l’ilarita’ di tutti.
Che stupida ero stata! Piansi tutte le mie lacrime nel nascondiglio che m’ero trovata.
Finche’ non mi ritrovarono. Lui era a meta’ fra il perplesso e il compiaciuto.
Finche’ non giunse, quel maledetto giorno.
Quello della mia partenza da Pistoia.
E del mio mancato addio.

Ma l’ho ritrovato, il mio Matteo.

In un altro bambino, con lo stesso nome.

25 anni dopo.

Ad una festa di amici.

Figlio della miglior “capa” del mondo, la mia.

Abbiamo chiacchierato, riso e giocato insieme.

A calcio, baseball e nascondino.

E quando e’ giunto il momento di salutarci, lui ha cantato per me.

E ci siamo scambiati gli indirizzi per scriverci.

Si muta in gioia, il rimpianto.

Per cio’ che era perduto, e dopo 5 lustri e’ stato ritrovato.

L’amore puro, di un bambino.

La bambina che giocava col cerchio

La bambina che giocava col cerchio

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


Adoravo giocare nel buio.
Adoravo il momento in cui scendevano le tenebre, e le nostre mamme tardavano a chiamarci, e mille piccoli pipistrelli neri, impossibili a vedersi nitidamente, cominciavano a volteggiare attorno ai lampioni.
Potevamo giocare mille giochi, con il buio che ci avvolgeva poco a poco nella flebile luce del crepuscolo, lo sguardo che si aguzzava e lo spazio di cui diventavamo padroni in maniera nuova.
Abitavamo in una tranquilla strada che finiva in uno slargo: sulla destra la discesa del garage del civico 27, dove una volta Beatrice, la mia Pecora Nera, m’aveva spinto giù a rotta di collo, su una vecchia carriola arrugginita: e mia madre, in ciabatte, col grembiule, le mani ancora gocciolanti acqua saponata, s’era precipitata di colpo, spinta da un presentimento, come altre volte nella sua vita.
Ero incolume.
Ma che paura!
Era Pistoia, la mia via: Fratelli Bandiera, proprio come le Sorelle Bandiera di Fatti più in là, pensavo io. Massimo, Elena, Elenina, Stefanino, Serena e Beatrice: erano loro i primi compagni di gioco, i primi amori, le prime amiche e rivali di Maria Teresa Virgoletta.
Che sarei io.
La virgoletta ce l’ha messa Zio Peppino, per separare, diceva lui, i miei primi due dal terzo nome: Anna. Come Nonna Nina, la collezionista di bambole, l’amante delle rose, colei che attaccava i ritagli di fiori, come da catalogo, sulle pareti della verandina (orrore, diceva mia madre).
E io che, pochi anni dopo, per fedeltà a Lulù, postuma Figlia dei Fiori, avrei fatto altrettanto, serbando però i miei preziosi ritagli in candide bustine bianche da visita.
Il buio, dicevo.
Ci avvolgeva, ci faceva sentire onnipotenti, fra la discesa, e l’orto delle fragole, e il campicello del contadino Cesco al di là del fiumicello (campo proibito, in quanto dovevamo attraversare, per raggiungerlo, un fragile ponticello, ma proprio per questo mille e mille volte più attraente).
Era nascondino il favorito fra tutti i nostri giochi. La difficoltà, accresciuta dalle tenebre, lo rendeva di gran lunga più affascinante che non alla luce del giorno. Ricordo l’emozione e il desiderio di far pipì che mi prendeva quando Massimo mi passava vicino senza notarmi, e io che correvo alla tana gridando a perdifiato “Tana libera tutti! Tana libera tutti!”.
Poi la lasciai.
Lasciai Pistoia, l’eden, il mio Paradiso Perduto.
E trovai Roma, l’accogliente, la gelida.
Erano passati degli anni. Non avevo più spazi, resi sconfinati dalla mia immaginazione, da giocare, ma un tranquillo giardino, con alberi su cui arrampicarsi e un grande abete su un pianerottolo rialzato, in terra battuta, tondo, circondato da un muretto di pietra.
Era lì che Flavia, Maria ed io facevamo le nostre casette di aghi di pini. E quando era sera, richiamate, salivamo su a casa, la migliore, da giocarci, era la grande stanza della piccola Maria.
Dove continuavo la tradizione del Nascondino al Buio, spegnendo la luce e cercandoci a tastoni.
Finchè un giorno non la vidi, nell’atto di spegnere la luce: la Bambina che Giocava col Cerchio, una svelta figurina di luce con l’abito corto alle ginocchia, gli stivaletti ed in mano l’immancabile gioco.
Mi guardava.
Lo dissi a Maria, la piccolina, che allora avrà avuto 9 anni e che mi piagnucolò: “Me la sognerò la notte!”.
Ma io sapevo che lei era lì, dove aveva giocato 80 anni prima, prima che in via Luigi Civinini, al civico 135, sorgessero i palazzi: e con la sua energia aveva dato l’impronta al luogo, e noi bambine, giocando al buio, l’avevamo semplicemente richiamata ad essere.
La bambina che giocava col cerchio.
L’essenza stessa del Gioco Puro, e incontaminato.

La porta proibita (racconto per bambini)

LA PORTA PROIBITA

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


L'ho scritto, di getto, a 13 anni. Poi l'ho scordato. Finché un giorno, riordinando, non è saltato fuori... ed ora eccolo qui, ansioso di sottoporsi al vostro giudizio e di lasciarmi, per vivere di vita propria!

Nella vecchia casa in cui vissi da bambina v’era una stanza, il cui accesso m’era proibito, che destava in me terrore ed insieme un’incontrastabile attrazione. Mio fratello, di alcuni anni più grande di me, si divertiva a raccontarmi quali orribili esseri, popolanti il mondo al di là di quella porta, sarebbero venuti a tormentarmi in eterno se avessi osato svegliarli dal loro sonno. Solo papà poteva entrarvi, e nessun altro: mamma mi aveva proibito di farlo, dicendomi che non ne sarei più potuta uscire.
I racconti di mio fratello suscitavano in me sentimenti intricati e contrastanti: desideravo incontrare gli spiriti folletti, i fantasmi e le strane creature che, al di là di quella porta, vivevano, ma avevo nei loro confronti anche un invincibile terrore: credevo che sarei rimasta in loro potere per sempre. Nei miei libri di fiabe questi personaggi erano soliti cibarsi di bambini, o tramutarli in bellissime ma inanimate statue di cristallo che adornavano i loro palazzi.
Il desiderio di vedere coi miei occhi ciò che la porta nascondeva si faceva però ogni giorno più prepotente: ed ebbi pi volte l’ardire di avvicinarmi ad essa e di fissarla a lungo, fantasticando. Solo una volta osai posare la mano sulla maniglia, ma quando, col cuore in gola, mi accinsi a girarla, un improvviso rumore di passi mi fece fuggir via con le ali ai piedi. Corsi a rinchiudermi nella mia stanza, e confidai solo alla mia adorata bambola Camilla il mio terrore.
Così passarono i giorni: il desiderio di aprire la porta proibita si faceva sempre più forte in me, ed ogni mio pensiero vi era costantemente rivolto. Ormai non v’era più nulla altro che mi interessasse, ed i categorici ordini di non disobbedire loro che mi rivolgevano i miei genitori quando, discorrendo, accennavano alla misteriosa porta, sortivano in me l’effetto di incuriosirmi ancor di più.
Finché una notte, svegliatami di soprassalto dopo un ennesimo sogno sull’oggetto della mia curiosità, decisi di por fine al mistero, e di dargli finalmente una spiegazione. Mi alzai e, camminando a piedi nudi sul pavimento gelido, arrivai finalmente davanti alla porta. Un brivido freddo percorse la mia schiena: aprii, e mi trovai di fronte ad una vecchia scala in legno.
Salii su, sempre più su, mentre i miei passi sui gradini scricchiolanti spaventavano me per prima, oltre ai topolini che abitavano quella vecchia soffitta, finché giunsi in uno stanzino al sottotetto.La luce dell’aurora, che proveniva dalle imposte mal chiuse di una finestra, illuminava soffusamente l’ambiente: vi era una vecchia sedia a dondolo, il cavalluccio di legno dalle gambe spezzate appartenuto a mio fratello quand’era bambino e che pareva guardarmi con aria di rimprovero; bambole rotte dall’aria sinistra, un vecchio carillon che un topolino aveva inavvertitamente rimesso in moto, urtandolo; vecchi libri polverosi e accatastati; un vestito antiquato che un tempo era stato di mia nonna, ed ora giaceva ricoperto da un panno bianco che lo rendeva simile ad un fantasma.
Per la verità, non v’era null'altro che potesse corrispondere alla descrizione delle cose spaventose fattami da mio fratello, e se, nell’oscurità’, ero quasi certa di sentire dietro di me le presenze di strani esseri, ora la luce sempre più forte metteva in fuga i miei timori. D’improvviso, però, vidi qualcosa muoversi e venirmi incontro: terrorizzata ma attratta, mi avvicinai anch’io pian piano.
Dunque era vero! Un qualche strano essere abitava la soffitta! Ed ora chissà che sarebbe stato di me, che avevo osato scoprirne il segreto!
D’improvviso, un raggio di sole diretto mise in luce quella figura: non era altro che una bambina pallida in viso, a piedi nudi, che tremava: tremava dinanzi alla sua stessa immagine, riflessa in un grande specchio a muro.