Wednesday, July 27, 2005

La collezione di bambole

LA COLLEZIONE DI BAMBOLE

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

Al mio analista

Mia nonna, nonna Nina, aveva una collezione di bambole. Le teneva tutte in una vetrinetta: una per ogni paese visitato, dono di parenti ed amici.
Mi chiedevo a cosa servisse una bambola, se non ci si puo’ giocare.
Nonna Iolanda, detta Pierina perche’ nata il giorno di S. Pietro, aveva Miss Rossella. Proprio lei, Scarlett O’ Hara, con l’abito della festa delle 12 Querce, tutto bianco coi volants di pizzo e la cinta di velluto verde con gli strass a formare una fibbia quadrata.
L’ho fatta volare dalla finestra.
Quando ho capito che simboleggiava la donna bambina, quella che tratta gli uomini come i propri giochi e fa ammattire il povero Clark Gable - Rhett Butler, colpevole solo d’amarla (troppo?).
La mia mamma aveva me, la sua bambina- bambolina. Da ninnare, vestire e con cui giocare a far la mamma, dandole tutto cio’ che lei (tempo, attenzione, coccole, liberta’ di giocare) aveva solo sognato.
Sono stata la sua bambola per anni.
Vestendomi a suo gusto, anche quando ero da sola. Sentendomi una marionetta manovrata da altri.
Che un bel giorno, come Pinocchio, taglia i fili. Di se’ stessa e altrui.

Actarus VII

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio: avrei voluto che tu mi fossi padre

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.
O meglio, mio padre.

Actarus VI

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio: avrei voluto che tu mi fossi padre

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus V

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio, padre di quattro fantastici bambini

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus IV

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!

Actarus III

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli tutta me stessa.
Che vuol dire? Che ho amato in tanti uomini l’ultrauomo, l’uomo ideale, il modello di perfezione. Imperfetto nei suoi rappresentanti in terra. Un ideal tipo.
Gesu’.

Actarus II

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.
A voi tutti i rimandi.
Lector in fabula!
De te fabula narratur, direbbero gli antichi. Chi di voi non ha sognato, almeno una volta, di essere Superman? Un Übermensch, un ultrauomo? Capace di volare, e di dar forma ai sogni?
Ecco, io sono colei che di Superman si innamora. Consacrandogli la vita.

Actarus

ACTARUS

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Valerio

Ero innamorata di Goldrake. Innamorata nel vero senso della parola. Avevo 5 anni, ma a quell’eta’ si puo’ ben chiamare amore.
Il mio cuore era diviso in due: da una parte Actarus, forte, bello, vigoroso e valoroso, che sacrificava se’ stesso per l’umanita’, e dall’altra parte Gesu’, che faceva altrettanto.
Chi dovevo amare di piu’?
Questo dubbio teologico non mi dava pace.
Finche’ non ho capito.
Che Go Nagai narrava la stessa storia, ma con altre parole.
Che la’ dove uno scendeva dal regno dei cieli a scacciare demóni, l’altro veniva dalla stella Fleed a schiacciare i mostri di Vega.
Che entrambi scacciavano il Male: l’uno con le mani, l’altro con le Lame Rotanti.
Ma entrambi sgominavano il Peccato, non il Peccatore. Che aveva l’anima salva.
Lo amavo davvero.
Sognavo che venisse a prendermi, e a portarmi sulla sua stella. Io avevo una camicia da notte vaporosa, e la notte aveva la luna a falce ed era scintillante di stelle cui passavo vicinissima.
L’ho rivista , quella scena. Era esattamente identica a quella del mio sogno. Solo che lei era Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, ed il film era il primo Superman.
Inutile dire che mi innamorai di lui.
Dell’uomo che rinuncia ai propri superpoteri per amore (era Superman 2), e torna ad essere solo un uomo.

La bambinaia africana

LA BAMBINAIA AFRICANA

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)

A Chiara

Il mio bambino e’ proprio bello. Dorme cullato dal respiro della sua nanny africana.
L’ho conosciuta per strada: vendeva dischi contraffatti e cullava con dolcezza la sua bimba, Anna. Che si chiama come me. Le ho chiesto di farmela tenere in braccio e me l’ha data, con fiducia.
E’ una bimba proprio bella, di pochi mesi. E cosi’, quando ho avuto il mio, m’e’ venuto naturale affidarlo alla mamma di Anna. Perche’ crescesse forte e indipendente, fiero e dignitoso come un bambino africano.
Africa.
Negata, sfruttata. Piena di orgoglio.
Come il mio amico Filomeno Lopes.
Un vero principe africano.
L’ho conosciuto in una mensa, la stessa di Rai Sat, dove lavoravo io, e di Radio Vaticana, dove era impiegato lui.
Un filosofo e un poeta. Un musicista, che alle sue canzoni ha affidato il suo messaggio al mondo.
Affinche’ la sua musica penetri il cuore di tutti.
Child eyes. Occhi di bambino. Lo sguardo con cui Filomeno, colui che e’ amato, guarda il mondo.
Filomeno. Il nome che gli e’ stato dato dall’ospite che aveva in casa suo padre il giorno della sua nascita.
Filomeno, dal maestro di spada orientale.
Filomeno che si sveglia ogni mattina brandendo la katana: esercizi di autocontrollo e di amore, come fiera che lotta libera nella savana.
Filomeno.
Il nome del mio bambino, cullato dalla sua nanny africana.

Mai avuto carie, in vita mia!

MAI AVUTO CARIE, IN VITA MIA!

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


Quanto lo invidiavo! Lui li’, bello, con la sua bici da cross, ed io in croce sul lettino del dentista.
Avevo sempre avuto delle brutte storie di denti.
Non che quelli da latte non fossero perfetti, anzi!
I problemi mi erano venuti con quelli definitivi, con l’agenesia di un dentino (= fratellino mai nato) a destra e a sinistra un dente-fiammiferino, arcata superiore troppo larga o troppo stretta, innumerevoli carie nonostante mi lavassi le canoniche 3 volte al giorno i denti.
Uno strazio continuo.
Ero persino diventata un caso clinico studiato dai professoroni della Clinica Odontoiatrica dell’Eastman di Roma, clinica connessa all’Universita’ La Sapienza perche’ sita in viale Regina Margherita…
Ma io lo amavo, il mio luogo di calvario.
Li’ potevo dimostrare di essere un bravo soldatino coraggioso, potevo meritare la bambolina bruna, color ebano, dal vestitino verde a strisce, con le maniche all’americana, che era stato il mio primo premio al coraggio. “Te la comprero’ se ti comporterai bene dal dentista”, aveva detto mamma. Ed io avevo obbedito, come sempre.
Amavo mia madre, nonostante (o forse per) le mille torture cui mi sottoponeva. Studiare l’inglese: mi pagava 50 lire, il prezzo di un agognato pacchetto di figurine, per ogni pagina del vetusto manuale anni ’50 imparata.
Amavo e odiavo Buck, Il richiamo della foresta, perche’ per punizione m’aveva costretto a ricopiarne l’incipit, tutto il primo capitolo, su un quaderno.
E mi pagava, perfino, per poter schiacciare sul mio corpo i punti neri.
Mercimonio.
Ma per amore. La forma piu’ pura di mercimonio. Davo tutta me stessa, per compiacerla.
Ho continuato a farlo per tutta la vita.
Finche’ oggi, per me, un dentista e’ solo un dentista.
E non una prova d’amor perduta.

25 anni dopo

25 ANNI DOPO

Maria Teresa Magliozzi (in arte Virgoletta)



Era stato il mio primo amore.

Matteo – Marini - che – gli - puzzano – i - calzini.

Avevamo entrambi 7 anni: lui era biondo rossiccio, con gli occhi verdi e le lentiggini, un sorriso aperto e tanta vitalita’ e gioia di vivere. Io, un bambina coi riccioli alla Shirley Temple, sognatrice e romantica ante litteram, argento vivo addosso e cuoricino d’oro.
C’eravamo conosciuti in prima elementare. Lui era un tipino intraprendente, a capo della “banda dei ragazzi”, che non ammetteva femmine al suo interno. Io non m’ero arresa, e gli avevo detto: “E se vi fate male con l’ortica, chi vi cura, se non le crocerossine?” , e cosi’ ci aveva ammesso, Valentina Valentubo, Letizia ed io, a far parte del suo entourage.
Che allegria, le spedizioni nell’erba alta e i percorsi di guerra! ”Percorsi”, che sarebbe poi rimasto il mio gioco preferito: inventarsi un itinerario impossibile, con corse, salti e strusciate per terra, con dietro qualcuno al seguito.
Gli piaceva Candy © Candy. Ma solo quando faceva le facce buffe, pero’. Fu lui a cedermi una preziosa figurina che gli aveva dato Annalisa, la Regina delle Ragazze, scatenando la sua ira gelosa di me.

Mi trovavo bene con lui.

E un giorno glielo dissi. Senza ritegno.
Fu durante una lezione di ginnastica. Eravamo senza le scarpe, coi soli calzini. Mi alzai in piedi di scatto e gli gridai: “Matteo, io ti amo!”, e poi fuggii via, fra l’ilarita’ di tutti.
Che stupida ero stata! Piansi tutte le mie lacrime nel nascondiglio che m’ero trovata.
Finche’ non mi ritrovarono. Lui era a meta’ fra il perplesso e il compiaciuto.
Finche’ non giunse, quel maledetto giorno.
Quello della mia partenza da Pistoia.
E del mio mancato addio.

Ma l’ho ritrovato, il mio Matteo.

In un altro bambino, con lo stesso nome.

25 anni dopo.

Ad una festa di amici.

Figlio della miglior “capa” del mondo, la mia.

Abbiamo chiacchierato, riso e giocato insieme.

A calcio, baseball e nascondino.

E quando e’ giunto il momento di salutarci, lui ha cantato per me.

E ci siamo scambiati gli indirizzi per scriverci.

Si muta in gioia, il rimpianto.

Per cio’ che era perduto, e dopo 5 lustri e’ stato ritrovato.

L’amore puro, di un bambino.

La bambina che giocava col cerchio

La bambina che giocava col cerchio

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


Adoravo giocare nel buio.
Adoravo il momento in cui scendevano le tenebre, e le nostre mamme tardavano a chiamarci, e mille piccoli pipistrelli neri, impossibili a vedersi nitidamente, cominciavano a volteggiare attorno ai lampioni.
Potevamo giocare mille giochi, con il buio che ci avvolgeva poco a poco nella flebile luce del crepuscolo, lo sguardo che si aguzzava e lo spazio di cui diventavamo padroni in maniera nuova.
Abitavamo in una tranquilla strada che finiva in uno slargo: sulla destra la discesa del garage del civico 27, dove una volta Beatrice, la mia Pecora Nera, m’aveva spinto giù a rotta di collo, su una vecchia carriola arrugginita: e mia madre, in ciabatte, col grembiule, le mani ancora gocciolanti acqua saponata, s’era precipitata di colpo, spinta da un presentimento, come altre volte nella sua vita.
Ero incolume.
Ma che paura!
Era Pistoia, la mia via: Fratelli Bandiera, proprio come le Sorelle Bandiera di Fatti più in là, pensavo io. Massimo, Elena, Elenina, Stefanino, Serena e Beatrice: erano loro i primi compagni di gioco, i primi amori, le prime amiche e rivali di Maria Teresa Virgoletta.
Che sarei io.
La virgoletta ce l’ha messa Zio Peppino, per separare, diceva lui, i miei primi due dal terzo nome: Anna. Come Nonna Nina, la collezionista di bambole, l’amante delle rose, colei che attaccava i ritagli di fiori, come da catalogo, sulle pareti della verandina (orrore, diceva mia madre).
E io che, pochi anni dopo, per fedeltà a Lulù, postuma Figlia dei Fiori, avrei fatto altrettanto, serbando però i miei preziosi ritagli in candide bustine bianche da visita.
Il buio, dicevo.
Ci avvolgeva, ci faceva sentire onnipotenti, fra la discesa, e l’orto delle fragole, e il campicello del contadino Cesco al di là del fiumicello (campo proibito, in quanto dovevamo attraversare, per raggiungerlo, un fragile ponticello, ma proprio per questo mille e mille volte più attraente).
Era nascondino il favorito fra tutti i nostri giochi. La difficoltà, accresciuta dalle tenebre, lo rendeva di gran lunga più affascinante che non alla luce del giorno. Ricordo l’emozione e il desiderio di far pipì che mi prendeva quando Massimo mi passava vicino senza notarmi, e io che correvo alla tana gridando a perdifiato “Tana libera tutti! Tana libera tutti!”.
Poi la lasciai.
Lasciai Pistoia, l’eden, il mio Paradiso Perduto.
E trovai Roma, l’accogliente, la gelida.
Erano passati degli anni. Non avevo più spazi, resi sconfinati dalla mia immaginazione, da giocare, ma un tranquillo giardino, con alberi su cui arrampicarsi e un grande abete su un pianerottolo rialzato, in terra battuta, tondo, circondato da un muretto di pietra.
Era lì che Flavia, Maria ed io facevamo le nostre casette di aghi di pini. E quando era sera, richiamate, salivamo su a casa, la migliore, da giocarci, era la grande stanza della piccola Maria.
Dove continuavo la tradizione del Nascondino al Buio, spegnendo la luce e cercandoci a tastoni.
Finchè un giorno non la vidi, nell’atto di spegnere la luce: la Bambina che Giocava col Cerchio, una svelta figurina di luce con l’abito corto alle ginocchia, gli stivaletti ed in mano l’immancabile gioco.
Mi guardava.
Lo dissi a Maria, la piccolina, che allora avrà avuto 9 anni e che mi piagnucolò: “Me la sognerò la notte!”.
Ma io sapevo che lei era lì, dove aveva giocato 80 anni prima, prima che in via Luigi Civinini, al civico 135, sorgessero i palazzi: e con la sua energia aveva dato l’impronta al luogo, e noi bambine, giocando al buio, l’avevamo semplicemente richiamata ad essere.
La bambina che giocava col cerchio.
L’essenza stessa del Gioco Puro, e incontaminato.

La porta proibita (racconto per bambini)

LA PORTA PROIBITA

di Maria Teresa Magliozzi
(in arte Virgoletta)


L'ho scritto, di getto, a 13 anni. Poi l'ho scordato. Finché un giorno, riordinando, non è saltato fuori... ed ora eccolo qui, ansioso di sottoporsi al vostro giudizio e di lasciarmi, per vivere di vita propria!

Nella vecchia casa in cui vissi da bambina v’era una stanza, il cui accesso m’era proibito, che destava in me terrore ed insieme un’incontrastabile attrazione. Mio fratello, di alcuni anni più grande di me, si divertiva a raccontarmi quali orribili esseri, popolanti il mondo al di là di quella porta, sarebbero venuti a tormentarmi in eterno se avessi osato svegliarli dal loro sonno. Solo papà poteva entrarvi, e nessun altro: mamma mi aveva proibito di farlo, dicendomi che non ne sarei più potuta uscire.
I racconti di mio fratello suscitavano in me sentimenti intricati e contrastanti: desideravo incontrare gli spiriti folletti, i fantasmi e le strane creature che, al di là di quella porta, vivevano, ma avevo nei loro confronti anche un invincibile terrore: credevo che sarei rimasta in loro potere per sempre. Nei miei libri di fiabe questi personaggi erano soliti cibarsi di bambini, o tramutarli in bellissime ma inanimate statue di cristallo che adornavano i loro palazzi.
Il desiderio di vedere coi miei occhi ciò che la porta nascondeva si faceva però ogni giorno più prepotente: ed ebbi pi volte l’ardire di avvicinarmi ad essa e di fissarla a lungo, fantasticando. Solo una volta osai posare la mano sulla maniglia, ma quando, col cuore in gola, mi accinsi a girarla, un improvviso rumore di passi mi fece fuggir via con le ali ai piedi. Corsi a rinchiudermi nella mia stanza, e confidai solo alla mia adorata bambola Camilla il mio terrore.
Così passarono i giorni: il desiderio di aprire la porta proibita si faceva sempre più forte in me, ed ogni mio pensiero vi era costantemente rivolto. Ormai non v’era più nulla altro che mi interessasse, ed i categorici ordini di non disobbedire loro che mi rivolgevano i miei genitori quando, discorrendo, accennavano alla misteriosa porta, sortivano in me l’effetto di incuriosirmi ancor di più.
Finché una notte, svegliatami di soprassalto dopo un ennesimo sogno sull’oggetto della mia curiosità, decisi di por fine al mistero, e di dargli finalmente una spiegazione. Mi alzai e, camminando a piedi nudi sul pavimento gelido, arrivai finalmente davanti alla porta. Un brivido freddo percorse la mia schiena: aprii, e mi trovai di fronte ad una vecchia scala in legno.
Salii su, sempre più su, mentre i miei passi sui gradini scricchiolanti spaventavano me per prima, oltre ai topolini che abitavano quella vecchia soffitta, finché giunsi in uno stanzino al sottotetto.La luce dell’aurora, che proveniva dalle imposte mal chiuse di una finestra, illuminava soffusamente l’ambiente: vi era una vecchia sedia a dondolo, il cavalluccio di legno dalle gambe spezzate appartenuto a mio fratello quand’era bambino e che pareva guardarmi con aria di rimprovero; bambole rotte dall’aria sinistra, un vecchio carillon che un topolino aveva inavvertitamente rimesso in moto, urtandolo; vecchi libri polverosi e accatastati; un vestito antiquato che un tempo era stato di mia nonna, ed ora giaceva ricoperto da un panno bianco che lo rendeva simile ad un fantasma.
Per la verità, non v’era null'altro che potesse corrispondere alla descrizione delle cose spaventose fattami da mio fratello, e se, nell’oscurità’, ero quasi certa di sentire dietro di me le presenze di strani esseri, ora la luce sempre più forte metteva in fuga i miei timori. D’improvviso, però, vidi qualcosa muoversi e venirmi incontro: terrorizzata ma attratta, mi avvicinai anch’io pian piano.
Dunque era vero! Un qualche strano essere abitava la soffitta! Ed ora chissà che sarebbe stato di me, che avevo osato scoprirne il segreto!
D’improvviso, un raggio di sole diretto mise in luce quella figura: non era altro che una bambina pallida in viso, a piedi nudi, che tremava: tremava dinanzi alla sua stessa immagine, riflessa in un grande specchio a muro.